• La domanda di cibo, la salute del pianeta e la rivoluzione che verrà

da | Giu 24, 2021 | 0 commenti

Stiamo correndo come un’automobile impazzita contro … un muro. Mi riferisco al sistema di produzione alimentare globale e alla sua interazione con il pianeta Terra. La produzione di cibo è responsabile per un terzo del riscaldamento globale e di una quota significativa dell’inquinamento di aria e acqua. Usiamo sempre più fertilizzanti (10 volte più azoto e fosforo del 1960) e pesticidi, consumiamo sempre più acqua per le coltivazioni, mangiamo (a livello mondiale) sempre più carne e stiamo andando verso un mondo popolato da 10 miliardi di abitanti (2050). Le sfide che ci attendono sono immani, è il messaggio che lanciano i partecipanti ai tanti Summit sul cibo che si stanno susseguendo nel corso di questo 2021, in vista del Vertice Mondiale sui Sistemi Alimentari di settembre organizzato dalle Nazioni Unite. <Dobbiamo fermare immediatamente la deforestazione, cambiare gli stili di vita, ridurre il consumo di carne, recuperare interamente quel 1/3 di alimenti che va sprecato ogni anno>, hanno suggerito gli esperti proprio oggi dalla tribuna di “Buono. Storie italiane di agricoltura, territori e cibo sostenibili”. A ben vedere sono tutti obiettivi condivisibili, fatti propri anche dalla Strategia europea From Farm to Fork, varata dall’Unione Europea nel primo semestre 2020.

Ci sono due tipi di problemi sui quali tuttavia è opportuno riflettere e anche informare il pubblico (che poi sono i consumatori). La prima questione è quella dei costi ambientali della produzione alimentare. La Strategia non è molto chiara su questo punto. Chi deve pagare per assicurare una maggiore sostenibilità degli alimenti e per l’emersione dei costi nascosti legati all’inquinamento ambientale? Qui è sufficiente ricordare che a partire dal secondo dopoguerra la percentuale di reddito spesa dalle famiglie in consumi alimentari non ha fatto che diminuire. Come mostra la Figura in copertina, relativa ai consumi delle famiglie americane ma rappresentativa di trend in atto in tutti i paesi avanzati, il benessere materiale che è comunemente associato al progresso e alla crescita economica è consistito nell’allocare una percentuale di reddito costantemente in riduzione per l’alimentazione e in crescita per altre tipologie di beni e servizi.

Immaginiamo adesso di invertire drasticamente questo trend e di riportarci sui livelli del 1932-33, gli anni neri della Grande Depressione: il 25% del reddito disponibile era impiegato per nutrirsi (prevalentemente a casa e residuamene fuori casa), contro un odierno 9,74%. Scioccante, vero? Eppure se iniziamo una riflessione di questo tipo, sarebbe raccomandabile estenderla anche al costo effettivo (ovvero comprensivo dell’impatto ambientale[1]) da pagare per viaggi e turismo, trasporti, beni di consumo (dal dentifricio ai detersivi), servizi (che utilizzano sì internet ma poggiano su cavi e server che consumano energia e territorio). Insomma, questo ragionamento portato alle estreme conseguenze conduce a una rivoluzione: un’organizzazione della vita umana radicalmente diversa da quella che siamo abituati a conoscere. Lo stesso sistema capitalista di allocazione delle risorse dovrebbe essere ridisegnato (con un’improvvisa inversione di ruoli tra scienza economica mainstream ed eterodossa[2]).

Tornando al cibo una seconda questione merita di essere riesaminata. Chi provvederà e come a questa domanda di cibo in crescita del 70% al 2050 (fonte: World Economic Forum)? A Roma, nel corso del Convegno “Buono”, e nel mondo, rappresentati da un grande numero di organizzazioni della società civile, si sono candidati gli agricoltori: giustamente appellandosi alla salubrità e al gusto di prodotti di filiera corta, a km 0, biologici, ecc. Nessuno può dire di no per principio a questa offerta. Quale consumatore non sogna di mangiare un cibo sano, una carne da allevamento allo stato brado, un pesce pescato in mare in modo sostenibile? La domanda inevasa – anche dalla politica europea, anche dai grandi summit internazionali – è “ma questo incontro tra piccoli produttori e gruppi di consumatori può rispondere alla crescita della domanda globale e alla richiesta di sicurezza alimentare proveniente da una popolazione tendente a 10 miliardi di esseri umani?”. Una risposta serie potrebbe comportare un ripensamento radicale di tutti gli assunti alla base “dei sistemi di produzione e consumo alimentari”, inclusa la convinzione che il mercato da solo possa provvedere alla conservazione del pianeta.

[1]Oneri derivanti dal degrado dell’​ecosistema e dall’esaurimento delle risorse non rinnovabili.

[2]Kiełczewski, D. (2020). Mainstream economics versus heterodox economics – between dispute and dialogue. Optimum. Economic Studies, (2(100)), 121–131.

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