• Dal tempo remoto segnali di futuro

da | Giu 8, 2018 | 0 commenti

Claudio Tuniz e Patrizia Tiberi Vipraio
La scimmia vestita
Roma, 2018

 

 

Lo avevano già scritto in “Homo Sapiens, Una biografia non autorizzata” (2015): nel caso in cui dovessimo trovarci a competere con un nostro simile del “tempo profondo” saremmo destinati a soccombere. Ne “La scimmia vestita” il fisico Claudio Tuniz e l’economista Patrizia Tiberi Vipraio sono riusciti a spiegarci perché. Il loro approccio interdisciplinare, come un setaccio attraverso il quale sono filtrati gli eventi di milioni di anni, consente al lettore di cogliere alcuni snodi fondamentali dell’evoluzione umana.

L’acquisizione del “pensiero simbolico”, ovvero della capacità di rappresentare una realtà alternativa (raccontando una storia) e di trasformarla in esistente costituisce il principale spartiacque: dopo il suo avvento si collocherebbero l’allargamento delle società umane, l’uso della lingua per implementare la cooperazione, il diffondersi delle specializzazioni e la creazione di surplus spendibili in attività diverse dalla ricerca di cibo, la comparsa dell’arte. Forse, e non tanto incidentalmente però, il pensiero simbolico ha condotto anche all’organizzazione della violenza. La tribù intesa come organismo sociale ha sterminato la maggior parte dei mammiferi di grande dimensione in Europa, in Australia e in America. Ha ingaggiato lotte senza quartiere con i diversamente umani, contribuendo a causare l’estinzione dei Neanderthal, e tra gruppi concorrenti di Sapiens (con guerre e stermini di massa come quello di Achenaheim avvenuto oltre 6.000 anni fa).

Colti questi aspetti dell’evoluzione umana, il libro di Tuniz e Tiberi Vipraio speculano sul futuro dell’umanità. E il ragionamento è molto convincente. L’intelligenza umana già nel paleolitico si estende oltre il corpo, considera gli utensili un prolungamento della mano, ne valuta l’impatto per gli altri individui e trasforma il manufatto in un tramite tra cultura e ambiente.

Oggi al posto della società fisica siamo immersi in quella virtuale della rete e in luogo dell’amigdala utilizziamo una macchina. “La scimmia vestita” dà il suo meglio proprio nell’ultima parte, quando affronta quesiti di grande attualità con una prospettiva inedita.  Se l’uomo fosse effettivamente entrato in un percorso di “auto-domesticazione”, una logica conseguenza della specializzazione e del diffondersi delle reti sociali ci vedrebbe come docile terminale di macchine gestite da algoritmi che risolvono per noi un numero crescente di problemi (riducendo però anche le nostre capacità logico-matematiche e mnemoniche).

In ogni caso, avendo raggiunto e superato i 7 miliardi di popolazione, per quanto virtuosi e addomesticati, difficilmente riusciremo a evitare il disastro ambientale provocato da innumerevoli generazioni dedite allo spreco e al consumo indiscriminato di risorse naturali. A meno che non trionfi una nuova specie, post-umana, come vorrebbe il transumanesimo. In questo caso l’uomo (ma forse non tutti gli uomini) grazie alle nuove tecnologie e al prolungamento della vita potrebbe avvicinarsi a Dio ed evitare l’autodistruzione. In conclusione, gli argomenti su cui riflettere non mancano.

Share This