• Ripensare i nostri modelli di consumo o ripensare l’intera economia di mercato?
Serge Latouche
L’abbondanza frugale come arte di vivere
Torino, 2022
Per chi, come me, ha lo sguardo proteso sul futuro per ragioni professionali, l’estate 2023 porta con sé una serie di domande impegnative. Stante l’importanza di nutrire 8 miliardi di persone, esiste un modo per ridurre l’impatto ambientale di produzione, trasformazione e distribuzione di alimenti? Visto che una quota significativa delle terre emerse, quelle coltivabili, è già utilizzata per soddisfare i bisogni umani e degli animali domestici, con un’ampia diffusione di monocolture o coltivazioni intensive, è concepibile una riforma radicale dei sistemi agroalimentari esistenti senza mettere in gioco la sicurezza alimentare? E se questa possibilità esiste, implica soltanto una correzione parziale dei meccanismi di funzionamento dell’economia di mercato oppure una rottura decisa rispetto al passato? La critica all’economia di mercato, alle sue ingiustizie e agli sprechi che può generare, ha una storia lunga ma soltanto oggi assume significati diversi perché per la prima volta ci rendiamo conto che contrastare il cambiamento climatico e il degrado ambientare richiede uno sforzo sistemico senza precedenti. Così mi sono organizzato per portare in vacanza con me qualche saggio stimolante, utile per allargare i miei orizzonti e sviluppare il pensiero laterale: per esempio, un volume del filone “economia civile” che fa capo al Prof. Zamagni (si tratta del lavoro di Luigino Bruni, “L’ethos del mercato. Un’introduzione ai fondamenti antropologici e relazionali dell’economia”, 2010, Milano).
Qui però vorrei suggerire in primis la lettura di un’opera recente di Serge Latouche, teorico della “decrescita serena”, scritta durante il periodo della pandemia da Covid-19 e dedicata al nostro rapporto con il cibo. I capisaldi della sua teoria sono più o meno gli stessi che lessi in “Breve Trattato sulla Decrescita Serena” quando fu pubblicato per la prima volta in Italia (nel 2008). “Non si tratta di sostituire una «buona economia» a una «cattiva»” [..] “si tratta né più né meno di uscire dall’economia”, dice oggi Latouche. Quella che ci viene proposta come società dell’abbondanza sarebbe piuttosto una “società della penuria” dove mancano cose essenziali come “aria pulita, acqua naturale potabile, cibo sano, spazi verdi”. L’attualità di questa filosofia è evidente, soprattutto alla luce dei cambiamenti climatici in corso a ritmo sempre più accelerato. La società dei consumi dovrebbe attraversare una fase di trasformazione radicale nel corso della quale “decolonizzare l’immaginario”. Solo per citare qualche esempio della dimensione della transizione si potrebbe ricordare il contrasto al “muovismo” e alla frenesia del turismo di massa oppure il “sostegno alla produzione agroalimentare locale, stagionale, naturale, tradizionale”. Latouche propone in ultima analisi una riscoperta della dimensione sacra del cibo.
Per completare questo kit di letture “eretiche” suggerisco anche un libricino del 2018, “Ridiventare primitivi. La saggezza antica ci può aiutare a salvare la Terra”, di Fausto Gusmeroli. La critica della società dei consumi è portata qui alle sue conclusioni più estreme. La nostra specie sarebbe a un bivio, dovendo scegliere se comportarci come un virus che consuma tutte le risorse alimentari ed energetiche disponibili e poi soccombe oppure adeguarci e sopravvivere modificando i nostri comportamenti in modo radicale, attraverso un “cambiamento cosmologico”. Come dire “attenzione, non è più possibile sdraiarsi sotto l’ombrellone e leggere in pace un libro di fantascienza su un futuro distopico, perché fuori ci sono più di 40° e l’aria è divenuta irrespirabile”.