• COP15, tutela della biodiversità e stili alimentari da cambiare
La Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità, conosciuta come Cop15, si è appena conclusa a Montreal, con l’approvazione in extremis del Global Biodiversity Framework (GBF)[1] che si basa essenzialmente su due obbiettivi – messa sotto tutela del 30% delle terre emerse (oggi 17%) e degli oceani (oggi 10%) entro il 2030 e istituzione di un fondo di 200 miliardi di dollari a supporto della biodiversità – entrambi programmatici e oggetto di trattativa tra Paesi avanzati e Paesi in via di sviluppo che detengono rispettivamente i livelli più alti (di reddito e) consumo di risorse e i giacimenti più consistenti di biodiversità. Sotto la presidenza cinese e l’ospitalità canadese è stato siglato un accordo che potrebbe anche dirsi storico se solo fosse vincolante e soggetto a controllo di parte terza.
Per quanto la sua attuazione sia rimessa alla volontà e alla ragionevolezza degli stati vi sono alcuni punti fermi dietro allo slancio programmatico che ci dovrebbero spingere a riflettere, soprattutto adesso che si avvicina la fine di questo anno caratterizzato dal ritorno della guerra in Europa con tutte le tensioni che ne sono conseguite, incluso il caro energia che stiamo pagano tutti. Il primo punto fermo è che dopo la pandemia, dopo la guerra, il mondo sarà chiamato a confrontarsi con la minaccia più grave di tutte: il degrado ambientale, con inquinamento di aria, terra e acqua da un lato e cambiamento climatico dall’altro. Queste forze sono in grado di causare una estinzione di massa delle specie viventi che non ha precedenti dalla fine dell’era dei dinosauri, la sesta nella storia del nostro pianeta. L’importanza e l’urgenza di agire e di contrastare questo degrado, causato dalle attività umane, traspare senza veli nelle parole della direttrice esecutiva di UNEP, Inger Andersen: “Dobbiamo cambiare la relazione tra la gente e la natura. [..] Non esitiamo per un secondo. Abbracciamo la storia scritta a Montreal”.
Il secondo punto fermo richiede una lettura tra le righe: i 188 Paesi presenti hanno concordato che debbano essere protetti e salvaguardati i diritti dei popoli indigeni e delle comunità locali perché svolgono il ruolo di “custodi della biodiversità e partner nella conservazione, recupero e uso sostenibile” delle risorse naturali. Entrambi questi assiomi si basano sul riconoscimento del fatto che il principio della mera utilità e un’economia di mercato senza correttivi hanno condotto a uno sviluppo umano insostenibile e pericoloso per la sopravvivenza della vita sulla terra.
Cosa c’entra il cibo con la protezione dell’ambiente, degli ecosistemi e delle forme di vita che li popolano? La risposta dai toni realistici ma tutt’altro che morbidi l’ha data un opinionista sul New York Times lo scorso 17 dicembre[2]. Michael Grunwald scrive che la dura realtà è che “abbiamo convertito la metà della superficie terrestre abitabile in terreni agricoli. Stiamo distruggendo e degradando gli habitat di altre specie per coltivare il cibo per la nostra”. Con una popolazione che ha raggiunto 8 miliardi di umani e che è proiettata verso i 10 miliardi, la questione di come proteggere il 30% del pianeta dalla nostra influenza è cruciale. Che fare, dunque? Grunwald non dice nulla di nuovo quando ricorda che il primo e indispensabile modo per vincere questa sfida è innanzitutto mangiare meno carne, non in termini relativi ma assoluti: ovvero impiegando i terreni coltivabili (che hanno già raggiunto la loro massima estensione) per produrre vegetali destinati al consumo umano invece che a greggi, mandrie e armenti. La seconda cosa da fare sarà ridurre gli sprechi alimentari. E infine la sfida delle sfide, che richiede innovazioni agricole e scientifiche senza pari produrre più vegetali commestibili usando meno terra e fertilizzanti. Gli obiettivi del GBF prevedono verifiche al 2025 e al 2030. La rivoluzione, signori, è servita, e in ultima analisi passerà dalle nostre cucine per finire in tavola. Cop15 ha soltanto suonato le trombe.
Natale 2022
[1] Kunming-Montreal Global biodiversity framework, https://www.cbd.int/doc/c/e6d3/cd1d/daf663719a03902a9b116c34/cop-15-l-25-en.pdf
[2] M. Grunwald, The eating and farming trends of a world on the edge, The New York Times (International Edition), 17-18 December, 2022.