• Roma come Izmir, Madrid come Marrakech. Il futuro delle città e il clima che cambia
Stefano Mancuso
Fitopolis, la città vivente
Bari, 2023
“E Marrakech?” “E Marrakesh, nulla. Non esiste una città con un clima simile oggi cui possa essere paragonatala la Marrakech del 2050. Purtroppo potrebbe non essere più abitabile dagli esseri umani”. Questo scambio di battute è avvenuto in occasione della presentazione a Castelmuzio (SI) lo scorso 2 giugno nell’ambito del festival Castellibro del nuovo volume di Stefano Mancuso dedicato al fenomeno dell’urbanizzazione, alle sfide che il cambiamento climatico pone alle città, ai rischi e alle contromisure che l’umanità potrebbe adottare.
Mancuso, professore ordinario di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree all’Università di Firenze è uno degli scienziati italiani più conosciuti al mondo. Ho avuto modo di ascoltarlo più volte a seminari e convegni, e stavolta l’ho trovato più pessimista che in passato. Specialmente riguardo all’incapacità dei politici di ascoltare il grido di allarme degli scienziati e di agire quindi per contenere il surriscaldamento del pianeta. Qui, cercherò comunque di porre l’accento sul valore strategico del suo libro, dismettendo i panni dell’intervistatore per attenermi al ruolo più spassionato di recensore.
Fitopolis è un titolo enigmatico, forse sottotono rispetto a un’opera di vasto respiro come questa. Perché il tema principale è quello dell’urbanizzazione: “una rivoluzione paragonabile soltanto alla transizione da cacciatori-raccoglitori ad agricoltori avvenuta 12.000 anni fa” (p. 6). Si tratta di un megatrend, evidentemente, difficilmente separabile da quello della crescita demografica (il mondo è proiettato verso 10-11 miliardi di esseri umani al 2070) ma che non si arresterà neppure dinanzi alla “transizione demografica” e all’ “inverno demografico” (riduzione della popolazione) che stanno già palesandosi in tanti paesi, come il nostro. Le statistiche e le previsioni, tutte autorevoli, citate da Mancuso, indicano che se nel 1970 il 70% della popolazione umana viveva nelle aree rurali del pianeta, oggi lo fa solo il 50%, che diventerà un 30% nel 2070 (p. 75). E l’Italia? Vive in città il 72% dei nostri connazionali, percentuale che potrebbe diventare di oltre l’80% tra 50 anni (come già avviene in Francia e Gran Bretagna oggi). Come è potuto succedere tutto questo?
La risposta in estrema sintesi è che in città si crea maggior valore aggiunto, si riducono i costi dei servizi collettivi e si vende la produzione in serie su cui si fonda l’economia del benessere. Il prezzo di questo modello organizzativo è però enorme: territori immensi intorno alle città vengono messi al servizio dei centri urbani, rifornendoli di cibo, acqua, energia, materie prime per le infrastrutture. E le città consumano gli input producendo rifiuti, disperdendo calore, inquinando l’aria (secondo i criteri di un’economia lineare). Il cambiamento climatico le renderà ancora più invivibili, aggravando il bilancio ambientale delle megalopoli.
Che fare? Per Mancuso, e qui il titolo diventa illuminante, occorre riconoscere il valore “eco-sistemico” della città: le piante possono aiutarci a trasformarla in un anello di una più vasta economia circolare, oltre a mitigare gli effetti del cambiamento climatico. Seguendo questa logica, per esempio, Firenze, che nel 2050 avrà le condizioni climatiche di Catania, ha recentemente deciso di piantare aranci nel centro storico.
In conclusione, la lettura di questo libro è sicuramente utile per immaginare gli scenari futuri. Restano semmai alcuni interrogativi: non potremmo pensare ad eventuali condizioni per invertire tout-court il processo di urbanizzazione?