• Attualità di Keynes e del keynesismo: dal tetto ai prezzi alla politica dei tassi di interesse
Zachary D. Carter
Il prezzo della pace
Vicenza, 2022
Ho letto una decina di biografie di John Maynard Keynes, forse il più grande economista di tutti i tempi. Sicuramente il primo e più influente economic advisor del governo britannico quando la Corona regnava su un vero impero ma anche un pensatore in grado di ispirare con la forza delle sue idee la nuova superpotenza americana, mentre era in vita e con diverse sfumature sino a tutti ai primi anni ’80 del secolo scorso. Il libro di Zachary D. Carter, giornalista economico di prima grandezza, nel suo “Il prezzo della pace”, ha il merito di restituirci un Keynes a tutto tondo: uomo eclettico, filosofo prima ancora che economista, scrittore di memorandum visionari per governi spesso distratti, costruttore di meccanismi per la regolazione dell’economia mondiale. L’abilità dell’autore che mi ha più impressionato è stata quella di saper legare genesi e sviluppo della teoria economica attraverso la ricostruzione del ruolo di gregari, studenti e rivali accademici con la messa in pratica delle sue idee in occasione di guerre (il primo e il secondo conflitto mondiale), della grande depressione del 1929 e degli anni successivi, e con l’interpretazione che del keynesismo hanno dato tanti presidenti americani: Roosevelt, Kennedy, Johnson, Clinton e Obama per citarne alcuni.
La politica economica anche dopo la seconda guerra mondiale ha sempre tenuto conto delle sue idee, per quanto perdendo spesso lo slancio ideale, talvolta la profondità di analisi e sempre la purezza: la lettura del libro di Carter ci porta così ad attraversare gli anni della riconversione da industria bellica a industria civile, il boom della crescita degli anni ’50, le due crisi petrolifere e la guerra in Vietnam, la deregulation degli anni ’90 sino alla crisi di mutui subprime del 2008. L’autore in oltre 500 pagine di un testo sempre scorrevole ma che fa lavorare le meningi ci mostra in ultima analisi quanto ancora oggi Keynes vive, quanto della sua teoria economica resta attuale, quante idee ha generato senza che potessero completamente affrancarsi dal suo contributo: dall’equilibrio dinamico di Samuelson al monetarismo di Friedman.
Impossibile riassumere un libro così: chi è appassionato di storia economica dovrà leggerlo. Qui mi interessa piuttosto mettere in risalto la strana contingenza di averlo terminato in questi giorni. Giorni nei quali il Presidente del Consiglio italiano ha tentato di mettere un tetto europeo al prezzo del gas, giorni nei quali il mondo – tutto intero – soffre di un fenomeno inflattivo a due cifre, giorni nei quali la politica delle banche centrali si sta orientando verso un aumento progressivo ma netto dei tassi di interessi per contrastare l’inflazione, giorni infine che ci portano sempre più vicini al conflitto russo-ucraino. Tutte queste situazioni hanno analoghi nella storia raccontata da Carter. E leggendo il libro si ha la sensazione chiara che Keynes avrebbe avuto le risposte esatte alla crisi che abbiamo di fronte. L’attualità di Keynes allora sta tutta qui. Provo a riassumerla con le mie parole. Aumentare i tassi di interesse per contrastare un’inflazione che è importata e derivante dal caro energia, cui Putin ci sta costringendo, non ha alcun senso: ci conduce direttamente alla recessione, tramite riduzione degli investimenti, licenziamenti e disoccupazione (“no pain, no gain”, per usare un detto derivante direttamente dagli economisti classici). E ciò senza influire minimamente sul prezzo del gas, che sta spandendo inflazione cattiva perché iniqua e incontrollabile (una tassa sui poveri, una tassa sui creditori dello Stato). E allora? Keynes direbbe senz’altro che la soluzione è semplice: porre un tetto ai prezzi dell’energia, riportando le lancette indietro di 6 mesi, senza toccare la politica monetaria che deve sostenere la crescita. Per porre un tetto di questo tipo potrebbero servire alla sola Italia 100 miliardi, con i quali compensare le società che distribuiscono gas e petrolio per la differenza rispetto al prezzo di mercato. I 100 miliardi si possono finanziare a debito perché sono “auto-ripaganti”: invece di una recessione, potremmo conservare la crescita, le entrate fiscali in aumento, risparmiare 20 miliardi di cassa integrazione straordinaria per le imprese che non ce la fanno più a sostenere i costi, espandere l’export grazie a una maggiore competitività, sterilizzare la cattiva inflazione. Se fosse necessario, Keynes autorizzerebbe piuttosto un prelievo fiscale sui redditi di persone e società. Ma soltanto come soluzione di emergenza. Tutto questo mi è chiaro, adesso. Grazie a Carter. E soprattutto grazie a Keynes.