• Quali scenari per l’industria alberghiera nel 2021 e oltre?
A fronte di una drastica riduzione dell’offerta, sopravvivrà il migliore (chi saprà innovare)
Con ritardo, rispetto all’Europa e ai concorrenti di altri paesi, l’industria alberghiera italiana si interroga finalmente sul futuro e scopre di essersi sino ad ora adagiata su una montagna di false speranze. Quali? Innanzitutto quella che il futuro sia identico al recente passato. Quindi che i turisti stranieri torneranno copiosi come prima e più di prima al cessare dell’emergenza pandemica. Infine che gli incentivi dello stato saranno sufficienti a far fronte alla crisi di liquidità dovuta alla mancanza di ricavi del picco pandemico. Il tira e molla dell’emergenza, l’accendersi e spegnersi dei lockdown, il moltiplicarsi di varianti del virus e infine la Presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen che ha dichiarato ufficialmente aperta “l’era delle pandemie” hanno fatto crollare l’intero castello di congetture sul quale si basava l’illusione del ritorno al “business as usual”.
Diversi alberghi italiani stanno correndo ai ripari. Alcuni si sono rivolti al sottoscritto per introdurre cambiamenti radicali nella loro offerta commerciale e persino nel modello di business. Senza svelare segreti industriali, si può senz’altro ricordare che le principali società di consulenza internazionali, negli studi di settore dedicati al futuro della ricettività turistica pubblicati nel corso del 2020, hanno tutte immaginato gli stessi scenari: uno scenario definito come “back to the NEW normal”, uno scenario di coabitazione (transitoria però estesa sino al 2023) e uno scenario di “giorni bui”, in cui il virus si modifica, i vaccini arrivano in ritardo e non funzionano e la pandemia non si ferma. É quasi superfluo osservare che nel terzo scenario un numero molto elevato – forse il 50% – di alberghi potrebbe essere costretto a cessare definitivamente l’attività o a riconvertirsi. Il primo scenario (comunque diverso dal passato) è parso troppo ottimistico e quindi è stato anch’esso scartato. Resta dunque la coabitazione: ancora 3 anni da attraversare con flussi turistici in ripresa ma pur sempre inferiori al 2019. Il fatto è che gli stranieri potrebbero essere – tentiamo una stima – il 50% (2021), il 70% (2022) e il 90% (2023) di quanti sono arrivati nel Bel Paese nel 2019. Visto lo stock di camere esistente, si aprirà evidentemente una caccia al turista, con dispiegamento di tariffe scontate e offerte speciali. Ma ricavi in contrazione, legati a tassi di occupazione inferiori al passato, basteranno a compensare una struttura dei costi piuttosto rigida e le rate di eventuali mutui? Ecco che non senza drammi si prospetta l’unica via percorribile, in pratica il contrario di quanto creduto e sperato sinora: cambiare tutto! Ovvero innovare l’offerta commerciale, immaginare nuovi centri di ricavo, progettare nuovi servizi, persino cambiare l’intero modello di business[1]. Non è mai troppo tardi, se si aspira ad essere i migliori (o i primi di una nuova generazione).
D’altra parte si deve ricordare che nella storia dell’umanità le pandemie, oltre a provocare sofferenze indicibili, hanno anche spinto l’introduzione di innovazioni. La Peste Nera ebbe probabilmente un ruolo nell’invenzione della stampa[2] mentre l’influenza spagnola del 1918 contribuì ad accrescere il potere dei sindacati e quindi indirettamente all’introduzione della settimana lavorativa di 48 ore. Covid-19, per certo, ingigantirà l’onda digitale.
[1] Breier, M., Kallmuenzer, A., Clauss, T., Gast, J., Kraus, S., & Tiberius, V. (2021). The role of business model innovation in the hospitality industry during the COVID-19 crisis. International Journal of Hospitality Management, 92.
[2] Herlihy, D. (1997), The Black Death and the Transformation of the West, Harvard University Press.