• Chi definisce il valore di tutto (e che vantaggio ne ricava)

da | Lug 13, 2019 | 0 commenti

Mariangela Mazzucato
Il valore di tutto
Bari, 2018

E’ il primo saggio della Mazzucato che leggo e l’ho trovato, come direbbero gli inglesi, inspiring. Si tratta di una critica radicale del concetto di valore, dalla sua prima definizione ad opera degli economisti classici per arrivare ai monetaristi e ai neokeynesiani, senza dimenticare Marx e soprattutto i neoclassici, marginalisti e utilitaristi, che hanno lasciato l’impronta più indelebile nella percezione corrente. Al di là delle competenze economiche di ciascuno infatti, ancora oggi la questione del valore è comunemente riassumibile più o meno così: quale prezzo sei disposto a pagare per questa cosa? “Ciò che non ha prezzo non ha valore”, d’altra parte, è un principio codificato nella stessa contabilità nazionale, ci ricorda Mazzucato. Ed è da questa interpretazione di valore, convenzionale e perciò artificiale e partigiana, che l’autrice muove per mostrare come i protagonisti della finanza internazionale, dell’industria farmaceutica e della digital economy “estraggono” il valore dal nostro lavoro, dagli incentivi pubblici e dal progresso tecnologico incrementale (patrimonio collettivo) che ha consentito di pervenire all’ultima applicazione di successo.

Il ragionamento è originale e radicale. Alla pars destruens segue tuttavia una pars construens meno incisiva. Quale dovrebbe essere il criterio alternativo a quello utilitaristico per la determinazione del valore? Mazzucato propende per una teoria collettiva del valore che è ancora da scrivere. Interpretazioni alternative del comune concetto di valore però esistono già. Per esempio quelle che integrano il calcolo utilitaristico con la valutazione delle esternalità negative (alla base di diversi indicatori concorrenti del PIL). Per capirsi: l’azienda X sviluppa un algoritmo per le selezione del personale tramite AI, lo brevetta, lo declina in applicazioni vendibili e si quota in borsa raccogliendo il capitale necessario al suo sviluppo industriale e alla prevedibile produzione di utili futuri (il valore che il mercato attribuisce a questo progetto). Conseguentemente, migliaia di selezionatori e gestori di risorse umane perdono il lavoro e non ricevono alcuna compensazione per il danno subito (esternalità negativa). Ecco dove la tassazione e la redistribuzione del valore a opera dello Stato può già intervenire, prevenendo il ripetersi dei fenomeni di arricchimento esponenziale (e di estrazione illimitata di valore) che abbiamo conosciuto con il diffondersi della globalizzazione. In conclusione si può non essere del tutto d’accordo sulla soluzione pratica ma non sul problema stesso: l’imperfezione delle regole che governano la società (Guido Rossi ne scrisse ne “Il gioco delle regole”, 2006).

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