• Passato, presente e futuro dei dolci senesi*

da | Feb 22, 2023 | 0 commenti

Mi è stato chiesto di introdurre questo libro, «Siena, La grande dolcezza», di Stefania Pianigiani e lo faccio con piacere anche se non sono un cuoco e non mi pronuncerò nel merito delle ricette qui raccolte. Infatti professionalmente mi occupo di analisi di trend e di consumi alimentari in modo specifico. Dirò soltanto che i dolci toscani mi sono piuttosto familiari e poi sono un senese che vive a Firenze.

3 IGP dolciarie, su 31 DOP e IGP toscane del food, e 2 in modo esclusivo insistono sul territorio della Provincia di Siena. Si tratta di un unicum a livello nazionale. Anche a un non senese verrebbe da chiedersi il perché. Ed è qui che forse posso aggiungere una nota storica: dal ‘300 la Toscana, e Siena che in quel secolo occupò una posizione preminente nella regione, e l’Inghilterra divennero due poli della «rivoluzione dolce» che attraversò l’Europa, tra l’altro posti in collegamento dalla Via Francigena. Erano entrambi due crocevia di traffici commerciali e lo zucchero – di canna – che gli Arabi introdussero in Europa e avviarono alla produzione in alcune aree del Mediterraneo tra cui la Sicilia, penetrò a fondo nei gusti e nelle tradizioni di queste due regioni per il resto molto distanti fra loro. Ancora oggi il consumo pro capite di dolci e di zucchero in Inghilterra è il più alto d’Europa. A Siena è rimasta la tradizione di produzione dolciaria e di consumo di dolci tipici legati alle ricorrenze, al punto che bene fa, nella sua nota introduttiva al libro, Maura Martellucci a sottolineare che a Siena vi sono dolci per tutte le occasioni e per tutti i mesi dell’anno, da Natale al Carnevale, dalla Quaresima a Pasqua, passando per l’estate con i Baci di Siena e l’autunno, con l’uso della farina di castagne.

Due parole sull’origine delle materie prime. É evidente anche soltanto da questo riferimento allo zucchero che le materie prime per questa fiorente industria dolciaria, che a Siena si imperniò intorno all’arte degli Speziali, venivano da tutto il mondo all’epoca conosciuto: la frutta candita e le nocciole dalla Turchia, le mandorle dalla Sicilia o dalla Spagna, le spezie da luoghi esotici come l’Isola delle Spezie (noce moscata),  dallo Sri Lanka (cannella) o dall’India (pepe). La globalizzazione era già all’epoca entrata nella gastronomia, sotto l’aspetto della selezione delle materie prime. A fornire l’identità del luogo e dei suoi abitanti era il saper fare: contavano l’amalgama, l’impasto e le modalità di preparazione e cottura. É questo il significato che ancora oggi si attribuisce alle «ricette del territorio». La storia delle piante addomesticate dall’uomo e degli animali da cortile è una storia di migrazioni. Neppure l’arancia e quindi l’arancia candita cui fa riferimento nel libro Giovanna Bartoli dell’Antica Drogheria Manganelli – come «ingrediente italiano» – è pianta di origine italiana: la coltivazione degli aranci in Sicilia fu probabilmente avviata dagli arabi ma i frutti dolci furono portati dalla Cina dai Portoghesi nel XV sec. ed è per questo che si chiamano “portugalli” in diversi dialetti italiani e portakal persino in turco.

Tornando al libro di Stefania Pianigiani, la sua pubblicazione va salutata con soddisfazione specialmente da chi è attento al territorio e alle sue tradizioni gastronomiche. Alcuni di questi dolci sono censiti nella banca dati dei PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali) della Regione Toscana: erano PAT prima di diventare IGP i Ricciarelli e il Panforte, sono PAT oggi il Migliaccio, i Cavallucci o Biricuocoli, e i Rustici di Montalcino. Altri dolci di Siena meriterebbero di essere inseriti nella lista dei PAT: sicuramente, e sono solo alcuni esempi, le copate e il Pan co’ Santi.

Il libro di Stefania, secondo me, ha però l’intento principale di “salvare le ricette” dall’oblio. Di farle conoscere anche fuori da Siena e di farle rivivere: ha scritto Massimo Montanari, lo storico dell’alimentazione italiano più famoso e tradotto al mondo, che gli alimenti della tradizione “vivono quando entrano nelle nostre cucine”. E questo è il merito principale di Stefania: colmare un vuoto, riportare in vita le tradizioni, favorire la diffusione delle conoscenze. É un ottimo inizio. Mi auguro che possa avere un seguito e spingere ad ulteriori ricerche e approfondimenti.

In conclusione, vorrei far presente che due sono le macro-tendenze che dominano il settore del food oggi a livello mondiale e quindi anche europeo: una tendenza all’omologazione, alla standardizzazione, alla semplificazione e al risparmio di risorse e di materie prime; un’altra tendenza opposta, alla varietà dei consumi, alla riscoperta delle tradizioni locali,  alla difesa del gusto. Chi vincerà tra queste due tendenze dipende anche da noi, da noi consumatori. Il libro di Stefania a questo riguardo ci rende più edotti e quindi più consapevoli, di ciò che siamo stati e di ciò che possiamo ancora essere. Spetta a noi compiere scelte che ci avvicinano a un futuro “auspicabile” oppure passivamente accettare l’avverarsi del futuro più probabile.

* Testo della presentazione che ha avuto luogo a Firenze, il 21 febbraio 2023 presso la Libreria Libraccio alla presenza dell’Autrice

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