• La felicità non è di questo mondo

da | Dic 26, 2017 | 0 commenti

Emanuele Felice
Storia economica della felicità
Bologna, 2017

Il libro del Prof. Felice è un libro dotto e anche un “reference book” nella misura in cui raccoglie e rende disponibili un numero elevato di indicazioni bibliografiche, non solo in campo storico ed economico ma anche filosofico e teologico. Da questo punto di vista, l’approccio al concetto di felicità è sicuramente multidisciplinare, sulla scia di studiosi quali Harari e Diamond, cui l’autore dichiara sin dall’incipit di ispirarsi. Tuttavia se una lacuna si può riscontrare è proprio sul versante dell’approccio multidisciplinare o meglio nella mancata inclusione di  importanti ricerche di antropologia culturale e fisica, di neurofisiologia, di  chimica e di psicologia.

Senza voler rovinare in alcun modo il piacere della lettura (e nelle prime 50 pagine sembra davvero di leggere Harari), si può dire almeno questo. Che la felicità non è di questo mondo (questa almeno è la mia personale conclusione). Ovvero che certamente ,come spiega con più sfumature l’autore, la preistoria e la vita dei cacciatori raccoglitori che ne furono protagonisti non fu un’età aurea, come alcuni illuministi, tra i quali Rousseau, hanno pensato delineando il mito del “buon selvaggio”. Fu un’epoca in cui il benessere individuale e delle piccole comunità umane poteva superare quello delle prime società agricole, che videro per quanto ne sappiamo il dominio dell’uomo sull’uomo all’interno della stessa comunità, il diffondersi di lavori estremamente faticosi e di malattie precedentemente sconosciute. Ma la preistoria fu anche lotta tra gruppi umani in costante competizione per lo sfruttamento delle risorse naturali, lotta che rallentò notevolmente il trend di crescita della popolazione umana senza impedire tuttavia la colonizzazione di interi continenti e l’estinzione di tante specie animali e di tanti mammiferi ad opera dell’uomo. Quando l’uomo è stato dunque felice? Non nel medioevo e neppure nel rinascimento: si viveva ancora la vita con un certo fatalismo a quei tempi, diciamo giorno per giorno. E neppure durante l’illuminismo quando il concetto di felicità assume per la prima volta i contorni di “diritto umano” e fa la sua comparsa nella costituzione americana. La schiavitù infatti era ancora lì a mostrare tutti i limiti di un ragionamento solo teorico. Durante la rivoluzione industriale, allora? No, almeno dal punto di vista degli operai inglesi e poi di mezzo mondo, costretti a turni massacranti e azioni meccaniche. E’ dunque quella che stiamo vivendo, l’epoca della felicità? Bisognerebbe chiederlo al pianeta e agli esseri che vi strisciano, nuotano o volano, quasi tutti a rischio estinzione a causa dell’antropizzazione. Insomma neppure il consumismo assicura la felicità. Piuttosto si tratta, ecco, di una condizione mentale. Forse in questo senso l’umanità non ha fatto ancora molti passi in avanti. Ovvero il cammino di fronte a noi è ancora lungo.

 

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