• Il David in etichetta

da | Dic 11, 2017 | 0 commenti

Una pronuncia del Tribunale di Firenze ne blocca lo sfruttamento a fini commerciali.

Soltanto Michelangelo poteva ricavare da un blocco di marmo già malamente sbozzato e apparentemente irrecuperabile un capolavoro quale il David (1501-1504). La statua doveva essere posizionata sui contrafforti del Duomo ma la sua bellezza apparve  tale da spingere il governo della città a collocarla all’ingresso di Palazzo Vecchio. Divenne immediatamente l’emblema delle virtù repubblicane e successivamente una delle immagini simbolo del rinascimento e della città di Firenze. Oggi è un’icona pubblicitaria, ovvero un marchio universalmente riconosciuto che tanti operatori economici, nemmeno tutti fiorentini o toscani, tentano di sfruttare dal punto di vista commerciale.

Alcuni anni fa, un cliente mi chiese di valutare la legittimità dei testi e delle immagini sull’etichetta di un prodotto alimentare. Sulla confezione campeggiava il David. E la cosa mi preoccupò. Infatti l’uso di un’immagine come questa non è libero. Il suo sfruttamento è soggetto sin dal 1993 ai limiti previsti dalla Legge Ronchey e dal 2004 dal Codice dei Beni Culturali. Senza autorizzazione espressa della Sopraintendenza questo utilizzo è dunque assolutamente da evitare. Adesso è sopraggiunta anche la riprova. Il Tribunale di Firenze il 23 novembre 2017 ha accolto il ricorso della Galleria dell’Accademia contro l’uso dell’immagine da parte di un’agenzia in materiale pubblicitario.

Evidentemente nel settore alimentare il copywriting (o copy) è un mestiere sempre più difficile: oltre a farsi interprete delle qualità del prodotto e delle tendenze di consumo, il copywriter (colui che scrive i testi della pubblicità) deve sapersi destreggiare tra norme a tutela del consumatore, norme sulla responsabilità del produttore, norme sulle indicazioni geografiche (DOP e IGP) e norme a tutela del patrimonio artistico e culturale. Per fortuna esistono gli specialisti.

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